Risposta a un amico su commento a “L’uomo senza qualità”

Caro Franco, c’è un lato comico che emerge dalla lettura de “L’uomo senza qualità”, per me antica di 40 anni, e dalla lettura della parte, credo, finale del saggio di Cacciari  che non conoscevo: la verbosità (insopportabile per Paolo e anche per me difficilmente digeribile) di Musil nel descrivere i pensieri contorti di Ulrich e Agathe nell’intuirsi vicendevolmente nel loro giardino dopo aver rinunciato a congiungersi, è trasposta tal quale nelle pagine di Cacciari. A mio modesto parere si tratta delle convulsioni linguistiche tipiche degli intellettuali che si sono lasciati sedurre dalla lettura della filosofia aforistica di Nietzsche che lascia insoddisfatto il lettore e lo porta inevitabilmente a complicare ciò che appare “SEMPLICE, TROPPO SEMPLICE”.

Però a questo punto non possiamo eludere il problema se sia possibile esprimere concetti complessi con linguaggio semplice. Credo che lo sforzo di farlo sia sicuramente uno sforzo etico, ma diretto all’impossibile e votato allo scacco.

Noi esseri umani, “parlesseri”, Abbiamo due vie per approcciare il mistero ineffabile, l’enigma, il non ancora compreso o spiegato, la via del Logos che spiega nelle pieghe del linguaggio o la via della mistica che spiega la verità nelle emozioni del corpo confidando nell’omologia di esso con il Reale o con Dio. Intuendo sé stessa come anima e corpo, grumo di desiderio paradossalmente senza oggetto, Teresa d’Avila intuisce la mancanza eterna ed infinita come luogo dell’estasi.

A lungo i due protagonisti del secondo volume del romanzo si tormentano e/o si trastullano nel dubbio tra i due procedimenti e infine intuiscono che in questo passatempo alternato, per citare le loro parole, tra attivismo e nihilismo, c’è il Moebius di senso e non senso della vita umana.

Ma c’è di più, c’è il godimento passivo a fronte del Reale (o di Dio, o della Volontà schopenaueriana…), godimento da non confondere, secondo la lezione di Lacan, con il piacere. Il piacere è a saldo zero, tra la tensione laboriosa e la scarica; invece, il godimento ci trova mentre non lo desideriamo o, meglio, mentre desideriamo nulla di ciò che sappiamo.

Questo ha voluto dire Cacciari a proposito della soluzione dei “gemelli siamesi” per vivere il loro amore.

 Si potrebbe forse aggiungere qualcosa. I due amanti realizzano e vivono nello spirito il mito dell’Ermafrodito platonico (Simposio): come tu hai ben notato, non possono copulare perché sono una cosa sola… Ma quell’essere una cosa sola mi pare del tutto intellettualistico; meglio, un esempio di sublimazione freudiana. Di che si tratta? Freud insegna che ogni perversione (e una sana scopata tra fratello e sorella si configurerebbe come tale) può essere trasformata, passando dall’inconscio alla coscienza, ovvero alla rappresentazione metaforica, in una scelta attiva utile socialmente e in qualche misura appagante per il soggetto che opera tale trasformazione. Per far capire immediatamente il meccanismo facciamo l’esempio classico: chi sceglie sponte sua la professione del chirurgo sublima una tendenza sadica che consiste nel trattare il soggetto come un oggetto. Agathe e, ben di più Ulrich, sono due intellettuali, credono che la soluzione delle miserie umane non abbia altro luogo e possibilità di essere trovata che nelle parole, ma soprattutto sperimentano che nel dire c’è dell’appagamento anche a prescindere da ciò che viene detto: non è altro che ciò cui ci indirizza Lacan: “l’amour de Lalangue”, amore della lingua fatta amante bisex a cospetto dell’Altro (quel “terzo” di cui farfuglia Ulrich), l’unica possibilità per l’amore di non essere “a mur”, lo scacco di un muro invalicabile rappresentato dalla materia corporale insensata. Parlando, i due accettano di non sapere del tutto, con precisione, quello che si dicono, pertanto accettano come ineludibile il non-senso che è la matrice del nostro essere. La nostra originaria “mancanza” in cui si insedia il desiderio in cerca dell’oggetto mancante è insensata nel suo nascere e a questo dubbio è riconducibile l’assillo dei Due.

 E con ciò il punto di arrivo, fatto il percorso circolare completo di senso<>non- senso, della filosofia occidentale. L’insegnamento della loro particolare sublimazione.

Però ti devo dire che il frammento di un’altra versione del finale del romanzo “L’uomo senza qualità”, in cui Ulrich si chiama invece Anders, e che sicuramente avrai come appendice nella tua edizione del romanzo, mi è piaciuto più della stesura definitiva, forse perché, sporcaccione come sono, lascia più dubbi, mi pare, sulla capacità dei due di sopportare anche l’insensatezza, non del tutto spiacevole, di qualche orgasmo, esercizio umano di regredire nei territori precedenti la parola.

Suppongo di essere stato chiaro e comprensibile più del mio vecchio “compagno” Cacciari, comunque ho fatto del mio meglio, ma se qualcosa ti sembrasse oscuro, dimmelo e provvederò.

Servus.

Ps: Una volta o l’altra ti racconterò qual è il legame tra me e Cacciari, dopo esattamente 53 anni a sua insaputa, sono certo.

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