25. PADRE NOSTRO?

Così come il godimento può existere, cioè essere immaginato in noi per noi, solo come super-godimento, così l’Altro può existere solo come Altro dell’Altro interiorizzato. Due impasses che la psicanalisi lacaniana si impegna a superare in una doppia accettazione che corrisponderebbe, primo, alla castrazione simbolica di derivazione più propriamente freudiana, l’accettazione del limite fallico, cioè del fatto che non si può allo stesso tempo essere e avere il fallo, ovvero che ci sia una legge imprescindibile, non moralistica, a delimitare il godimento in favore del desiderio (e delle parole); secondo, all’accettazione della fatale inconsistenza di tutto ciò che promette un Senso definito e testuale, di cui l’Altro sarebbe solo il messaggero: il sapere sul sapere, scienza superna fatta di leggi scrivibili come scrivibile è il nome del padre, ovvero ciò che pretende di orientare un desiderio, per sua natura anticonformista quando non trasgressivo, nell’impasse assiologica allusa per esempio dal titolo della Austen “Ragione e Sentimento”.

 In qualche maniera non troppo dolorosa, l’illusione fallica e quella legislativa/interdittiva paterna troveranno la loro delusione, si tratta allora di fare reagire chimicamente la sventatezza isterica e il controllo ossessivo, due effetti della delusione, per ricavarne qualcosa di utile alla vita, nuove possibilità etiche. E’ un impegno non indifferente, perché l’illusione può diventare maniacale e la delusione depressiva, mentre una fissazione alla legge paterna può essere psicotica.

 Così potrebbe essere se si trattasse di una legge codificata ed iscritta nel Super-Io, ma se invece fosse, seguendo Lacan, quella del simbolo e della sintassi, in quale momento, in quale frangente sarebbe trasmessa al soggetto nel corso della sua maturazione? E fino a che punto sarebbe strutturata nel linguaggio come indiscutibile e consone sia a” principio di realtà” che a “principio di piacere”? Un problema per Freud, che lo conduce al problema del masochismo e a formulare il disagio della civiltà tra libido e repressione.

 “La castrazione vuol dire che bisogna che il godimento sia rifiutato perché possa essere raggiunto sulla scala rovesciata della Legge del desiderio”. La maiuscola è di Lacan per distinguerla dalle leggi del diritto positivo e da quelle inconsciamente interdittive del Super-Io, ma la citazione è da un suo scritto contemporaneo al VII° Seminario in cui compare la famosa trascrizione dalla “Epistola ai Romani” di S. Paolo che egli paragrafa sostituendo “Cosa” a “peccato”. Tuttavia in questo caso la Cosa del godimento, sostanza della pulsione, è da intendere, affinché regga la parodia metonimica, anche come effetto di una legge superegoica che può fare il paio con quella divina e mosaica cui si riferisce S. Paolo, non tanto della Legge (del desiderio) che rappresenta invece proprio il godimento ineffabile raggiungibile nella struttura simbolica in cui tutto si muove e niente più viene rimosso per l’urto della colpa.

 La logica di S. Paolo è ferrea nello stabilire che la voluttà è trasgressiva ed effetto di una proibizione preventiva, ma la Legge lacaniana, scritta con la maiuscola per distinguerla da tutte le altre, non interdice il godimento e non ordina paternamente di godere in quella o quell’altra maniera altrimenti guai, nasce nella Muttersprache, nella parola, con il destino di dover restare indefinita tanto che il godimento non confligga con libertà ed etica come invece spesso confliggono i piaceri.

 La Legge manca il soggetto della pulsione e il soggetto della pulsione manca la Legge, ma, cercando l’oggetto del piacere la trova al posto di questo: è simbolica, dal linguaggio e nel linguaggio si fa da sé, non come l’oggetto del desiderio che del linguaggio è il miraggio e infine lo scarto. La trova però solo seguendo il desiderio nelle parole mentre essa è alle sue spalle e l’insegue, come in un uroboro. Sta in questa circolarità il rapporto tra desiderio e Legge e perciò il paradosso dell’etica lacaniana per cui non ci sarebbe colpa morale per la psicanalisi che quella di cedere sul desiderio: non è con certezza benigno ma ancor meno maligno, dando spazio al dilemma e al rischio senza il quale l’etica non avrebbe alcun valore.

 L’oggetto del desiderio, ci fosse come tale e soddisfacente, non si troverebbe alla fine di un percorso, ma all’inizio, vicino alla Cosa detta primordiale, lì accanto, dove i significanti hanno mancato qualcosa che deve riemergere come agalma, per Alcibiade in Socrate, e per tutti noi, nella nostra madre, poi nell’amante e poi forse nel nostro analista. Tutto il sapere in un significante quanto mai sfuggente per un suo significato il cui valore è in chi ci crede. E’ come per il transfert, che non per caso Lacan scopre essere prima di una analisi come condizione della domanda intorno ai difetti del mondo, non a prodursi nell’analisi: causa di causa, diremo? Certo, difetto di desiderio, di Legge o di godimento prima che del mondo. E il mondo, cosa potrebbe completarlo? Ogni innamorato crede di saperlo. Per dire che il transfert stesso non è un sintomo, come non lo è l’innamoramento, semmai un dissesto contingente del desiderio, l’arresto momentaneo della sua metonimia. Un momentaneo, contingente sapere su di noi, essenzialmente sul nostro desiderio, sulla nostra Legge e sul nostro godimento, sapere che supponiamo esista presso l’Altro, in psicanalisi l’analista che Lacan designa appunto come “soggetto- supposto- sapere”. Un fantasma seducente per il transfert, forma del sintomo decisivo che svanirà e si scioglierà in sé stesso mostrando la sua essenza funzionale di mancanza, punto di vuoto, causa di desiderio.

 Il segreto di Socrate era sapere di non sapere. Il segreto banale quanto scabroso adombrato nella reticenza dell’analista che ci rimanda la nostra domanda fino al momento della destituzione in quanto soggetto che sa tutto sulla nostra possibilità di godere. Capirà il bambino che l’adulto non sa? That is the question!

 Il massimo che si potrebbe trovare indagando l’analista in quanto individuo (l’”oggetto intero” secondo Rycroft…) e non in quanto Altro, è la comune essenza umana di impossibile godimento sessuale infantile, le parole comuni per supplire a un rapporto sessuale che “non cessa di non scriversi”, cioè che non cessa di non esistere una volta per tutte e senza resti come un rapporto esigerebbe nell’illusione paterna di completare il mondo. Pare che oggi quell’illusione voglia approdare alla sostituzione in “mamma aut papà” dell’aut con vel, ma avrà davanti a sé lo scoglio dell’impossibilità che a un raddoppio di quantità possa corrispondere un raddoppio di qualità.

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