Nella nostra epoca le verità sono deduzioni elaborate in base a big data e macro-calcoli supportati macchinalmente per lo più in codice binario in attesa di ricavare da energia quanti di informazione. Si tratta comunque di verità operative ispirate al principio di certezza: tanto quanto basta per decidere. È un limite epistemologico della statistica.
L’altro limite riguarda la possibilità di discernere sempre e comunque il rapporto di causa ed effetto da quello di concomitanza, quando è difficile depurare il dato modellistico o sperimentale. L’auspicio di Cartesio che i dati e i processi dell’intelletto siano chiari e distinti, vale per gli oggetti epurati ex ante, modelli ritagliati dalla complessità, oltretutto sempre dimensionata su tre versanti gnoseologici poco compatibili: macro, medio (il nostro) e micro, subatomico. È questo ultimo che ha cessato di rispondere all’immaginario e a rispondere solo a numeri. A questo livello non si fanno quasi più domande cui far seguire l’esperimento, né si formulano ipotesi cosmologiche, si agisce immettendo quantità numeriche di energia e si guarda quello che succede.
Naturalmente dopo il fondamento creativo occidentale dell’Uno stesso come qualità ferma e assiomatica in un essere altrimenti indefinito e indifferenziato e nell’”oblio dell’essere” stesso. Gran bel a-priori idealistico: una qualità a fondamento di ogni quantità o viceversa. Purezza della “Ragion pura”, una faccenda universale umana, ma in Occidente determinante e in Oriente temperata in qualche maniera. È qualcosa che va oltre l’oggettivazione o al “tratto unario” della prima identificazione che ci consente di contare, nel doppio senso di essere “qualcuno” e di aprire una serie omologa negli elementi. Pensandoci, è la vendetta prima di Democrito e poi del vecchio materialismo, questo esemplificato dal fatto che, nel linguaggio/macchina, tra lo 0 e l’1, tra il nulla e l’Ente, idealmente non deve e non può esserci nient’altro, soprattutto nessuna contingenza. Non è forse l’assunto su cui poggia il positivismo? Il fatto che per segnalare lo zero ci voglia l’1 e un minimo di tensione, non è una negazione della negazione, ma l’incidenza della lettera in senso lacaniano, in questo caso elettronica, operativa in sé e forse per sé.
Gli algoritmi macchinici che possono rappresentare tutte le cose del mondo consentendo decisioni operative su di esse, funzionano sulla base di questa convenzione fondamentale che prende atto della più importante e fondamentale “forma a priori dell’intelletto” detta anche principium individuationis. Il loro difetto sta paradossalmente nel non poter valorizzare l’errore e il rumore nel messaggio su cui viaggiano, di chiudersi alla casualità o alla contingenza, cioè alla condizione del godimento come effetto in noi di Reale. A “ciò che non cessa di non scriversi”.
Per questo Lacan vede nel significante linguistico saussuriano un altro genere di unità e di identità puramente simbolico (strutturale) in fuga dalla necessità deterministica, da “ciò che non cessa di scriversi” nell’Immaginario. Va detto che nel creare il senso nella struttura con il solo limite della logica oltre cui c’è solo il Reale, il significante induce del godimento anche nel dire.
I piaceri per i quali ci si dà da fare possono stufarci oppure può subentrare la fobia dell’errore nell’amministrarli; una fobia come un’altra, tant’è che la vita ci appare sorprendentemente bella se qualche errore funziona al punto di autoannullarsi.
Per metafora biologica, non è l’errore il fondamento delle mutazioni genetiche che fanno la vita? Per contro, non è l’autoimmunizzazione da cambiamenti pseudo-caotici e invece probabilmente vitali, la più pericolosa malattia per un organismo? Anche per un organismo sociale, come insegna Derrida nel seminario intitolato “La vita, la morte”. Si tratta dell’errore di voler rimediare a tutti i costi a un errore supposto nell’economia strutturale della “bella forma”. Discostandoci dalla biologia, potremmo fare l’esempio individuale dell’anoressia e quello politico della moralizzazione totalitaria, in entrambi i casi la scelta di una purezza cristallina, inorganica e mortale per ribrezzo di un po’ di sporco che accompagni, com’è inevitabile, gli scambi vitali.