4. OFFERTE LIMITATE

Non mi sento di unirmi al coro di giubilo quando viene annunciata una nuova mirabolante invenzione tecnologica che prometta di sollevarci finalmente da qualche problema o negatività di cui l’umanità è affetta da sempre.

Questa presa di distanza data per me fin da quando l’ineffabile Barnard trapiantò il primo cuore con tutta la bagarre che ne seguì e poco dopo Armstrong atterrò sulla luna provocando eccitazioni ancora maggiori. Mi dicevo, e certo non ero il solo, bene un cuore, ma come si farà con decine di milioni di cardiopatici in giro per il mondo? Per quanto riguarda la luna va bene, l’America ha vinto la gara, ma ne trarremo tutti qualche vantaggio? Oggi siamo nell’epoca dei furti d’organi e la missilistica ha conservato soprattutto l’obiettivo della deterrenza militare: è un aspetto scandaloso che può investire di un giudizio politico la società e la tecnologia anche prima che ci si preoccupi di quanto e come la tecnologia per suo conto ci condizioni nell’intimo e minacci un umanesimo tutto da dimostrare (e non è certo umanesimo la naturalità regressiva che ispira Ted Kaczynski Unabomber).

Ma non ci si scandalizza molto invece della perdurante limitatezza di diffusi benefici delle scoperte scientifiche dovuta semplicemente ai costi mercantili di molte realizzazioni tecnologiche, né della selettività sociale che essa comporta, mentre è proprio questa la pietra tombale da porre sull’illusione cara agli Illuministi che il progresso dell’umanità sia nella scienza.

Non vorrei affrontare problemi globali di equità sociale ed economica, faccio un esempio banale in quanto molto vicino.

A un mio amico affetto da insufficienza cardiaca è stato impiantato, per supplire alla funzionalità compromessa di un ventricolo, una sofisticata apparecchiatura elettrica che ha un costo notevole. Poiché l’intervento, la fornitura e il monitoraggio futuro avvenivano in regime mutuato fu istruito intra moenia della struttura sanitaria una specie di concorso tra diversi portatori della stessa patologia aspiranti allo stesso intervento terapeutico. Qui sta il bello, oltre ovviamente ai fattori clinici, si valutarono in sede decisionale, in base a una griglia sociologica predisposta, quali utilità sociali, valori e benefici avrebbe comportato la prolungata permanenza in vita del soggetto come promessa dall’apparecchiatura.

Il mio amico è un professore universitario ampiamente in pensione, dei concorrenti ho saputo solo che tra essi c’era un geometra e un meccanico frigorista entrambi ancora in attività. Lui stesso, persona sensibile ad ogni aspetto etico, sociologico e politico, per primo manifestò perplessità a proposito del metodo di selezione, una specie di decimazione, anche se ragionata.

Per curiosità avremmo voluto sapere qualcosa di più sui criteri di scelta, ma l’accesso alle informazioni si dimostrò non facile e così rinunciammo. Fu chiaro però che qualora si fosse trattato di un intervento pagato una cifra astronomica da un paziente in regime privatistico il problema per noi si sarebbe risolto fin da subito con un’alzata di spalle.

Rimase il dubbio che fosse attribuito un punteggio “laico” in base alla professionalità più o meno elevata, ma allora anche il dubbio su come si distinguesse tra specifiche professioni “elevate”: probabilmente c’entrava la supposizione di un grado generico di “cultura” con tutti i malintesi che il termine comporta, forse adombrato dall’esistenza di un generico diploma di laurea.

Dopo la prima guerra mondiale si riscontrarono in psichiatria alcuni casi di angoscia perdurante e rovinosa in reduci risparmiati in una decimazione, non dissimile dalla ovviamente ben più diffusa e classica angoscia da trauma di bombardamento. Anni fa mi imbattei in questo tema scrivendo un libretto sulle traversie di un certo Casciana Luigi, Tenente di fanteria smobilitato nel 1919 e morto a Trieste per ferite riportate durante l’assedio e l’incendio del “Balkan” per mano di fascisti triestini.

Abbiamo appreso da Freud che in questi casi la fortissima emozione viene rivisitata nell’impossibile tentativo di renderla inattiva percorrendone a ritroso la memoria.

Qualcosa di simile avrebbe potuto accadere al mio amico miracolato da tecnologie medicali così selettive, invece, quasi all’opposto, noto in lui un vago sollievo per non aver approfondito la faccenda della selezione e che, non sembrando affatto in preda ad angoscia, non ami ritornare sull’argomento né abbia particolare ritrosia a parlarne, ma preferisca restare nel dubbio: fosse il caso della lingua che batte dove il dente duole, mi attenderei viceversa che dal dubbio passasse a qualche giudizio sulla base di qualche ipotesi.

Comunemente si suppone che restare nel dubbio provochi una specie di angoscia da paralisi quando è ancora vaga la paura di non poter padroneggiare o controllare qualche evento non ben delineato. Non è così, ci dice Lacan, il dubbio ha viceversa la funzione di sbarrare come può la strada all’angoscia che ci verrebbe addosso da ciò su cui dubbi non ci possono essere, la verità scabrosa del Reale: nel dubbio, prima che nel sapere, ci metteremmo al riparo dal dover fare la conoscenza dell’”indubitabile non senso delle cose” per cui è impossibile distinguere oggettivamente il male dal bene, come quando i benefici della tecnologia sottostanno alla logica della decimazione.

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