37. IN DER TAT

 La psicanalisi non è una creazione metastorica dell’intelletto di Freud, nasce al mondo per l’intervento maieutico del medico viennese come effetto retroattivo della modernità così fiera dei successi della scienza nel risolvere problemi oggettivi da trascurare qualche problema soggettivo. Da trattare nei modi politici che alla fin fine gli sono propri.

 Ma cos’è la modernità se non l’individualismo? E chi rappresenta l’istanza individualistica se non quella borghesia uscita vittoriosa dalla Rivoluzione esemplare, compiuta nei suoi termini, ovvero compreso il rivolgimento delle prime istanze liberatorie nel loro rovescio repressivo come fondamento di una nuova egemonia?

 Quando Freud scrive “Il Disagio della Civiltà”, non scrive un saggio di psicanalisi applicata alla società nella Storia, ma storicizza la psicanalisi stessa. È la psicanalisi una scienza borghese? Lo è. Più precisamente è un effetto retroattivo dell’ideologia borghese che coniuga modernità e rivoluzione in seno alla borghesia stessa in ordine ad una società auto-diretta come dev’essere per poter trattare economicamente il desiderio individuale.

 Tuttavia, dovesse la psicanalisi incidere massivamente nella società, non potrebbe avere per sua natura la minima idea su dove debba andare a parare qualsiasi effetto di cambiamento.

 Lacan ci insegna che “tutto ciò che a titolo di civiltà assegniamo alla cultura non è altro che l’impegno a delimitare il godimento”. Ci sono tante maniere di farlo: in psicanalisi c’è la castrazione simbolica in base alla quale, in base cioè al simbolico, si punta a delimitare e circoscrivere il godimento nel raggio della Legge e del desiderio, così che ne resti escluso sia il campo dell’impossibile che quello della delusione, i campi in cui la Storia coltiva rabbia e colpe. Poi ci sarebbe la freudiana repressione super-egoica, ma è un altro discorso.

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