14. ELITE

Vi sono passi del “Manifesto del Partito Comunista” in cui Marx sembra profetizzare la progressiva perdita di consistenza delle cose, intese nella modernità soprattutto come merci. Dal passaggio del valore d’uso a quello di scambio si passa ulteriormente ad una realtà evanescente, immateriale e fantasmatica in cui l’opposizione tra bisogni concreti e desideri simbolici viene meno, così che ogni oggetto necessario per soddisfare i nostri bisogni di sussistenza si presenta come voluttuario e contingente secondo la preferenza che gli accordiamo in base a qualità accessorie, inessenziali, e viceversa ogni vago oggetto di desiderio si presenta con la perentorietà del bisogno.

E’ un passaggio che realizza ogni volta e spesso con risvolti comici per una teoria del valore, il passaggio da natura a cultura in cui si inserisce con sagacia il discorso capitalistico che punta sempre più su un mercato di entità astratte oltre che di beni superflui supportato dalla pubblicità. A questo proposito Žižek fa l’esempio dell’ovetto Kinder, il cui significato è l’insignificante non-alimentare sorpresina nascosta, ma ancora più caratteristica è l’insistenza a propagandare prodotti alimentari o per l’igiene “senza” qualcosa invece che “con” qualcosa (naturalmente, di quel qualcosa di cui sono senza, nessuno che non sia un chimico saprebbe dire qualcosa, quando addirittura può avere la sola esistenza del suo nome…). Nel carrello della spesa di una mamma sola con due bambini che paga un affitto di € 500 a fronte di uno stipendio di 1000, ecco una confezione di “VIAGERMA, il nuovo prodotto senza sintotensioattivi che elimina il 99,9 %  dei germi invisibili che minacciano la salute del tuo bambino”…!

Nei ceti sociali più deboli, alla povertà potrebbe aggiungersi una miseria suppletiva di tipo nuovo, l’incapacità culturale di difendersi da suggestioni o terrorismi pubblicitari.

Ma, siamo ottimisti, non è necessariamente così da quando la cultura non è più retaggio di un ceto: le scandalose menzogne della pubblicità potrebbero anche funzionare come un fattore di riequilibrio in una nuova accezione della ricchezza come autonoma capacità di scelta inseribile tra spesa e risparmio.

Tuttavia prima che questo progresso si compia, l’evanescenza dei significati sembra interessare le dinamiche socioculturali massive, se si privilegia la teoria che vede nell’invidia sociale dei ceti, secondo la visione di un Max Weber, il motore di un antagonismo non esclusivamente economico e quindi più generico della lotta di classe marxiana, un antagonismo che vede molti diseredati mirare a spodestare pochi privilegiati con intenzione di sostituirvisi. Marx non ignora la classe media ma la reputa un corollario sociologico della borghesia, privo di istanze autonome, potremmo dire erede di quei cadetti che nel medioevo costituirono un problema sociale e politico.

A tale fattore di antagonismo tra ceti Nietzsche aveva dato il nome francese di ressentiment. Neanche dire che lui, erede di pastori luterani, si teneva per aristocratico.

Sta succedendo che il risentimento insegue la trasformazione dal concreto all’astratto, dai significati ai significanti, implicando come oggetto invidiato, oltre al denaro, passepartout ideale per il lusso e il potere, anche l’eloquio, il lusso, che ancora qualcuno si concede, di non venir meno alla sintassi e di scegliere le parole con qualche cura. Lusso elitario come ogni lusso, pertanto un significato invidiato e automaticamente supposto retaggio di un soggetto “colpevole” da quando l’orpello ha smesso di rappresentare il sacro. E dove va a parare l’invidia se non nell’odio?

Era sempre sacrosanto diffidare di chi parla difficile apposta, ma oggi si diffida di chi semplicemente parla o scrive non troppo male.

Chi mostra di averlo capito e di volersi mettere al riparo è quell’intellettuale che, mentre una volta, un po’ snob, faceva ambiguamente il verso al popolano, per riderne, oggi invece ne imita doverosamente e pedissequamente ogni sciatteria linguistica.

Lascia un commento