Se la vita è una lotta all’ultimo sangue tra libero arbitrio e destino, la psicoanalisi lo è perlomeno al penultimo. È la lotta che nella metafora della scacchiera conduce il Cavaliere nel film “Il settimo sigillo”, lotta da cui uscirà con il famoso atto etico della finta svista al gioco e lo sguardo rivolto alla famigliola del saltimbanco. Alla semplicità del suo desiderio e dell’amore che beffa la Morte.
La psicanalisi è un duello o un gioco simile che ha luogo sulla scena della modernità, non del tutto pacifico ma con regole di temperanza e accorta regia.
C’è stata tuttavia per ognuno di noi un’altra lotta più circoscritta nel tempo, priva di regole certe che non siano traducibili nella parola amore, la lotta da cui un bambino esce nel linguaggio simbolico. Ecco, alla famosa domanda del positivista che chiede se la psicanalisi è una scienza o non invece una specie di religione, va risposto che non è né l’una né l’altra, quanto piuttosto una delle tante pratiche umane, non molto diversa dalla pratica materna dello svezzamento che si serve di ogni argomento e di ogni trovata, purché funzioni. D’altra parte, non molto diversa anche dal famoso metodo socratico detto della maieutica, anch’esso avulso da ogni pretesa o fascinazione di oggettività laddove, nella metafora, il lavoro della levatrice è sottomesso a quello della partoriente e non viceversa.
A proposito di oggettività scientifica, va detto che, si giri e si rigiri il discorso epistemologico sul metodo scientifico, soprattutto della scienza moderna dopo Galileo, tale metodo si può ridurre concettualmente a misurazione, presiedendo questa attitudine sia nel momento ipotetico che in quello sperimentale, nelle induzioni osservative e nelle deduzioni modellistiche, riduzioniste od olistiche che vogliano essere. Senza tuttavia che, almeno per quanto ne so, qualche epistemologo abbia affrontato seriamente una vera e propria ontologia della misurazione o almeno il suo senso come intenzione, origine e procedimento.