51. CREDENTI

 Il denaro è più fragile dell’oro che pesa e riluce, si regge solo sulla fiducia, i finanzieri lo sanno ancor meglio degli economisti. È la più corrente e pura metafora delle sotto-strutture simboliche, luoghi funzionali finché funziona, luoghi del sembiante, ordine immaginario dipendente da meta-ordine, pertanto sempre anche finzionali oltre che funzionali. Ogni convenzione di valore, ogni gloria mundi, ogni consistenza di feticcio, ogni interpretazione è virtuale, può venir meno da un momento all’altro, lo sanno gli storici e anche gli psicanalisti.

 Marx intendeva il mercato monetario come sovrastruttura dipendente dalla necessità produttiva di beni: in un’ottica un po’ paradossale di idealismo e insieme di positivismo, faceva dipendere la fascinazione e la caduta del feticcio, di cui la moneta è l’esempio più astratto ma anche più decisivo, dalla necessità della sussistenza, messa talora in crisi da qualche evento inassimilato internamente al suo stesso sviluppo, anche qualche evento monetario, più simbolico che reale. Si sarebbe risparmiato qualche contorcimento nella sua teoria molto “inglese” della moneta come inevitabile riflesso delle curve dello sviluppo economico, se avesse ammesso che un materialismo storico ha bisogno che ci sia una Storia che non può essere altro che storia dei simboli che ne tramandano e ne trasformano il senso.

 Si crede comunemente che la moneta sia stata inventata semplicemente come funzionale al mercato in quanto scambio in essere, direttamente rappresentativa del valore di merci anche se lo scambio a quel livello viene differito esulando dal valore d’uso, ma non è così, nasce già come titolo di credito bello e buono, rappresenta la potenza mercantile del palazzo e la credibilità dei suoi vettori, per esempio delle navi fenice o, ancor prima, “minoiche”. Nasce come sigillo esteticamente elaborato, privo di parità con l’oro o altro, fatto solo per sigillare un patto d’onore non altrimenti sottoscritto che nel riconoscimento della stirpe. Un simbolo che significa la fiducia che merita. Gli innumerevoli sigilli decorati e non intercambiabili che garantivano il possesso e il passaggio ereditario matrilineare e costituivano il dato anagrafico delle libere donne cretesi 1.800 anni a.C., in epoca detta da sir Arthur Evans “palaziale” sono il vero prototipo della moneta. Quando ci si lagna più che giustamente del fatto che il valore delle persone sia fatto equivalere a somma di denaro, per esempio nei risarcimenti assicurativi che direttamente ci mercificano, non bisogna dimenticare che i segni di valore sociale riscattabile, sono una invenzione dell’immaginario umano metastorico non centrato sul mercato e rimasta presente in noi come scorciatoia simbolica per lo più inconscia.

 Sappiamo che successivamente il signoraggio consisteva soprattutto nel diritto di conio, cioè, per dirla alla buona, di poter acquisire moneta pagandola, in virtù di un’iscrizione o un’effige, meno del suo valore nominale oppure intrinseco-ponderale che comunque nella circolazione significhi potere d’acquisto. Presso i servi o i sudditi funzionava ancor meglio della forza che si associa all’editto, per stabilizzare il signoraggio, così come oggi il denaro dovrebbe stabilizzare il sistema della produzione/consumo, sigillando nuovamente un patto d’onore non altrimenti sottoscritto. Funziona finché gli scambi procedono per saldi soddisfacenti.

 L’avaro non sa che accumulando denaro si fa suo garante con i pericoli del caso, più elusivi dei topi che infestavano i granai del palazzo. Lo sa il mercante che lo scambia continuamente come il ricercato dalla polizia cambia continuamente domicilio.

 La fiducia tiene insieme il nostro mondo simbolico ad ogni livello, cominciando però dalla fiducia che i significanti, le nostre parole, possano significare qualcosa per qualcuno.

 Ho un conoscente che fa il notaio e si professa anarchico, eccezione paradossale o falsa coscienza che sia. Dice che lui guadagna molto solo perché non ci fidiamo l’un dell’altro, neanche di lui, in verità, quanto del suo timbro: si deprime ogni volta che l’imprime, ma poi si rinfranca pensando ai miliardi di anime che fanno andare avanti il mondo in dispregio di timbri notarili

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