45. ANGELUS NOVUS

 Non solo la Storia che conosciamo, storiografica, è scritta dai vincitori, questo è ovvio, ma, essendo continuamente (sincronicamente nel suo insieme) scritta in accordo con le discours du maitre, si presenta come un alibi per fare assolvere l’attualità come leibniziano e popperiano miglior mondo possibile. Possibile sta per immaginabile. Da qui a decretare la fine della Storia il passo è breve e la tentazione forte: Un Francis Fukuyama non manca mai.

 Invece il dato assiologico pensabile (e pensato) per la Storia, quello che definiamo, a consuntivo e solo se ci piace, “progresso”, mutuato nella vita personale, può dimostrarsi una assiologia pensabile criticamente e laicamente, cioè fatta spoglia di ogni “dover essere”: è ciò che ci si può attendere dall’aver intrapreso una psicanalisi, come dire per l’esito di quel processo e di quella avventura.

 Si tratta, a rigore, di un cambiamento che riscuote l’approvazione di qualcuno, nel caso della Storia di un ceto emerso come egemone dopo essere stato coinvolto in eventi pericolosi o disagiati, e nel caso della psicanalisi dell’analizzante riemerso da un’immersione nelle acque agitate dell’inconscio. Verrebbe da dire: “Ma adesso vediamo come se la cavano”. La fine della propria storia come inizio.

 Nel finale del film diretto da Peckinpah “Straw Dog”, Dustin Hofman, dopo aver avuto la meglio sull’aggressione da parte dell’immaginario altrui, mostra la sua soddisfazione facendo oscillare il mento in segno di assenso e approvazione non tanto per la sua vittoria ma per la possibilità, pura possibilità, che desiderio, Legge e godimento trovino di che riannodarsi sotto l’egida del Simbolico. Che si possa parlare di ciò che è accaduto per poter ricominciare a parlare.

 C’è qualcosa di simile nella famosa passe lacaniana in cui l’Immaginario cede il passo al Simbolico.

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