ATTUALITA’. Tre lettere a IL PICCOLO pubblicate in successione nel marzo 2025

Non so quanto concretamente la nostra Presidente del Consiglio si sia spesa per ottenere dall’Europa deroghe al patto di stabilità, che limita gli investimenti a debito,  in favore di investimenti nella scuola, nella sanità e, in generale, nel welfare, da intendere come protezione dei deboli. Va bene, non si può battere i pugni sul tavolo, non dubitiamo delle sue buone intenzioni sotto quel riguardo, ed è certo che finora nessuno nel Governo italiano ha chiesto la deroga dal patto di stabilità caldeggiata ora dalla Presidente della Commissione Europea per spendere in armamenti. Sono molto curioso di vedere la risolutezza della Giorgia nazionale nel respingere al mittente questa proposta, se non scellerata di sicuro dissennata, ed altresì vedere l’atteggiamento del Ministro della Difesa, uomo accorto e prudente ma, dicono, vicino ai produttori di armi. Chi è così cretino da credere che i cosacchi siberiani vogliano bivaccare nell’emiciclo di Montecitorio o di Palazzo Madama? Chi è così ottuso da non capire che gli USA sono supplementari all’Europa e la Russia viceversa complementare per cultura ed economia? Putin è quello che è, Trump lo stesso, ma basta questo per farci impazzire, noi Europei, e farci impugnare la armi dimenticando cos’è la guerra? Basta per farci  fare quello che vogliono farci fare le Anime Belle che strillano accomodate in poltrona e in guerra di certo non andranno mai. Quello che mi pare di intravvedere è un “cupio dissolvi” di chi è drogato da un benessere forse non del tutto meritato e dal terrore di perderlo, cosicché è pronto a “derogarvi” nel peggiore dei modi per pura stupidità.

Il Ministro Guido Crosetto ha dichiarato, con tono di indubitabilità, che “se non le fossero state date le armi, l’Ucraina non esisterebbe più”.  Non è chiaro cosa volesse dire: se si riferisse al Paese abitato da diverse etnie e chiamato Ucraina per tradizione storica e geografica, alla Nazione oppure allo Stato, due entità che non è detto coincidano nella loro natura politica. A questo proposito va osservato che non solo nella Storia moderna mai una invasione armata ha fatto scomparire una nazione, ma che nessun aggressore, quantunque desideroso di asservirla, si è sognato di farla scomparire. Forse perché non conviene, è troppo oneroso: è semmai lo Stato, individuato come espressione della politica responsabile del conflitto, l’obiettivo di un cambiamento radicale con l’intento di dare al nuovo assetto politico la delega al controllo della nazione sconfitta. Tale controllo trova spesso il suo limite nella resilienza culturale di una nazione, di solito tanto più forte quanto essa è più omogenea etnicamente. Non auspico affatto ora una debacle dello Stato Ucraina, ma, a differenza del Ministro Crosetto, credo che, se Zelensky, al netto di velleità personali e miraggi geopolitici, avesse riconosciuto, lui a capo di un paese grande ma povero e arretrato, di non poter prendere di punta un avversario gigantesco tra i più potenti del mondo e, come suggerito dal Papa, avesse innalzato bandiera bianca, esisterebbe ancora un’Ucraina. Forse neutrale e forse etnicamente più omogenea, non lo sappiamo. Che così potesse andare lo suggerisce, come detto, la Storia, mentre ammetto che di ciò non c’è prova né prova contraria, soprattutto per la possibilità di una neutralità senza riguardo per sfere d’influenza. Ma è incontrovertibile che, fin da subito, venendo meno il bisogno di inviare armi, si sarebbe risparmiata la vita alle centinaia di migliaia di esseri umani uccisi dalle armi di una o dell’altra parte.

Una volta tanto tutti gli economisti sono d’accordo: nell’epoca nostra, in cui il sistema produttivo globale poggia sui consumi e su una circolazione delle merci tanto più necessariamente  libera quanto più dislocata e differenziata ne è la produzione, un governo che imponga dazi nazionali all’import impone una tassa al suo stesso popolo, un costo generico che è causa di inflazione ed impoverimento finché il sistema non viri all’autarchia della produzione e dei consumi. I dazi imposti da Trump determineranno inflazione negli USA almeno per i primi due anni sui quattro del suo mandato presidenziale e non basteranno i due successivi per controbilanciarne gli effetti, essendo oltretutto quell’amministrazione poco propensa a redistribuire in servizi il surplus di entrate monetarie e non essendo chiaro come voglia impiegarle. Ma, allora, chi glielo fa fare a un uomo che tanto ama il consenso? Rispondere a tale quesito non è il nostro assillo, lo è invece poter decidere se è utile a noi e genericamente al popolo europeo reagire all’attacco al nostro export imponendo a nostra volta dazi sull’import di merci USA. Ebbene, non credo sia una buona idea aggiungere emozionalmente fattori inflattivi ai fattori inflattivi comunque generati al nostro interno dall’aumento dei prezzi in conseguenza ai mancati guadagni dell’export manifatturiero o anche per una sorta di opportunità imitativa. Perso per perso, meglio abbozzare, cercare altri mercati e ridurre costi e spese intessendo diplomaticamente nuovi rapporti  commerciali a livello di importazioni di prodotti base, non manifatturieri, con paesi dalla produzione complementare e non supplementare alla nostra, eminentemente manifatturiera. Se questioni ideologiche lo renderanno difficile, non ci resterà altro da fare che sopportare stoicamente un ulteriore impoverimento che, al solito, colpirà di più quelli già poveri. Funzionerebbe fino a un certo punto: oltre, c’è il rischio di irrazionalità nazionalistica e regressiva, una specie di impazzimento collettivo di cui approfitterebbero demagoghi già in agguato come fomentatori della stessa irrazionalità.

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